“Il discorso di Trump all’Onu è stato uno spettacolo inquietante”.
La sua ultima performance mondiale è riassunta in questo giudizio da copertina del prestigioso settimanale, www.internazionale.it Replicato da una valanga di commenti simili che danno la misura della policrisi nella quale ci troviamo.
“Una” guerra militare, commerciale, psicologica, tecnologica, politica e culturale.
Sarà impossibile tornare come prima. Bisogna cercare di limitare i danni e impegnarsi a tutti i livelli per riaffermare i valori universali che riconducono alla cultura della pace e della convivenza.
L’attacco alla nostra economia e ai nostri diritti è già in atto, quel signore pretende di finanziarsi a spese nostre, imponendoci nuovi dazi e condizioni lesive della sovranità europea.
La nostra grintosa Presidente del Consiglio ne ha per tutti ma non si adopera nei confronti di colui che ci danneggia e crea un sacco di problemi.
Il massimo che riesce a fare è assumere qualche posizione tattica, come nel caso della questione palestinese, rispetto alla quale non dice e non fa nulla per far cessare l’assedio inumano di Gaza e dei suoi abitanti.
Bene ha fatto il Presidente Mattarella a stabilire un contatto costruttivo con Global Sumud Flotilla, la cui missione umanitaria, è bene ricordarlo, non si propone semplicemente di consegnare un carico di aiuti, ma di farlo nel rispetto della legalità.
È illegale la sua missione (rotta e scopo compresi), o è illegale il blocco navale e quello che sta facendo l’esercito israeliano in Palestina?
Se la forza si sostituisce al diritto, vanno al macero secoli di storia. Ne siamo consapevoli?
Attaccare Onu e Unione europea in modo così offensivo come ha fatto Trump il 23 settembre, è come pugnalare alle spalle la pace e le istituzioni internazionali che la preservano.
Se la nostra Presidente del Consiglio ha “condiviso molte cose che ha detto Donald Trump nel suo intervento” vuol dire che l’Italia è tra i paesi più esposti ai rischi e pericoli derivanti da quella parte di occidente che ha voltato le spalle alla democrazia.
Diciamolo con chiarezza: siamo di fronte a due occidenti che spaccano i singoli Paesi e gli stessi Stati Uniti d’America. In attesa (non passiva) che si ricostruiscano il clima e le relazioni istituzionali, è necessario decidere da che parte stare e lottare per ricostruire i ponti fatti collassare.
L’Europa deve emanciparsi da chi la detesta. Deve farlo senza complessi di inferiorità. Siamo portatori di ben altra cultura che quella dell’odio. Deve affrancarsi dal liberismo economico, farsi paladina di pace lavoro e benessere attraverso modelli di sviluppo incentrati sulla responsabilità diffusa e condivisa che richiede anche la partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici alla vita delle imprese.
I giudizi di merito non c’entrano con l’odio, anzi essi lo denunciano quando viene cavalcato e profuso come ha fatto Trump perfino in occasione del funerale politico di Charlie Kirk. La sua é la politica dell’odio.
La democrazia ha bisogno della salutare dialettica tra moderati e progressisti, non di imbroglioni e truffatori che inventano problemi e nemici inesistenti pur di non affrontare con serietà e realismo quelli reali.
È degradante e lesivo della nostra dignità stare chi ci minaccia e insulta.
Con chi usa i dazi come una partita perennemente aperta e ricattatoria, in conseguenza della quale se non si compra e investe cosa e quanto lui chiede, li aumenta nuovamente. Si comporta come il padrone del mondo e continuerà a farlo fino a quando glielo si permetterà.
È inutile girarci attorno: le minacce che vengono da lontano si sommano e saldano con quelle interne, anche di politica economica e sociale, che fanno aumentare povertà e malessere.
Un recente studio di Mediobanca certifica che negli ultimi anni “le aziende potevano pagare di più”. Nella sua analisi sulle grandi e medie imprese “mostra come un aumento del costo del lavoro sarebbe stato assorbibile dai bilanci: servivano 4mila euro pro-capite per salvare il potere d’acquisto”. La retorica sulla produttività puzza di sconfortante conformismo. “Le aziende avrebbero potuto fare di più per sostenere le famiglie, mettendo più soldi nelle loro tasche e gli azionisti avrebbero avuto poco da dire, perché di spazio per farlo in larga parte ce n’era”. Lo dice Mediobanca! Senza considerare il tasto dolente del come certe grandi imprese da “vetrina” realizzano i loro profitti.
Quanti economisti si chiedono che rapporto c’è tra il lusso e la miseria? Tra la settimana della moda e la Giornata mondiale del salario dignitoso?
Si esaltano i prodotti, si celebrano i personaggi, si valorizza l’economia e il turismo, ma dietro le favolose sfilate da mille e una notte ci sono anche fenomeni negativi di sfruttamento e miseria.
Il profitto sproporzionato derivante dalla differenza tra i costi di produzione e vendita è la causa dello sfruttamento di tante lavoratrici e lavoratori che subiscono la stessa oppressione, tanto nel Bangladesh quanto nei distretti italiani del tessile, negli scantinati e laboratori insalubri di cui “saltuariamente” e in modo inadeguato si occupano le istituzioni preposte e la magistratura.
Profitti inquinati, ruberie legalizzate, nei confronti dei quali non si sente parlare di decreti “sicurezza”, di rispetto della legge e “tolleranza zero”.
Tutto si tiene: due pesi e due misure, la doppia morale, due occidenti, guerra e pace. Cambiare rotta si può e si deve. Abbiamo una bussola a prova di caos e “movimenti reazionari”. Per andare avanti, non per tornare indietro.
G.G.
