È il momento dei costruttori di pace. Da non confondere con gli impresari edili.
La Striscia da ricostruire è un gigantesco affare per Trump e la sua coorte. La sua vocazione a sovrapporre affari e politica, economia e forza militare, è evidente: una gestione totalizzante del potere.
Parla di pace storica e dice di non avere una posizione definita su “due popoli, due Stati”.
Ciò nonostante, il cessate il fuoco a Gaza va accolto come una benedizione. Tutto merito suo?No, ma su questo punto la sua influenza è stata decisiva.
L’accordo tra Israele e Hamas comprende 20 punti: non è ancora pace, ma il primo passo concreto in quella direzione, il massimo raggiungibile nella situazione data.
La pace richiede giustizia, assenza di odio, uguaglianza di diritti e doveri tra popoli e persone. Non può dipendere dalla forza militare di un Paese rispetto a un altro.
Nessuna sottovalutazione, dunque. Ma il piano del Presidente americano non può essere giudicato ignorando il fatto che per due anni egli ha condiviso la quotidiana e inumana carneficina di Gaza, con la distruzione sistematica della Striscia e reiterate minacce che fanno parte del suo repertorio.
Chi ha fornito armi e assistenza per distruggerla, oggi passa all’incasso della sua ricostruzione. Non si era mai vista una cosa del genere.
Il fine non giustifica i mezzi adottati, né attenua i limiti e le contraddizioni dell’accordo raggiunto.
Le “pressioni” a tutti i livelli e in tutti i modi, hanno certo contribuito al cessate il fuoco, ma non sono bastate bastano a realizzare una pace giusta.
Non è affatto certo che si voglia procedere davvero verso la prospettiva dei due popoli e dei due Stati, con pacificazione vera e riconoscimento reciproco, come non si stanca di ripetere il Presidente Mattarella.
La contraddizione più evidente riguarda il fatto che il Presidente americano ha riaperto la corsa al riarmo e ri-sdoganato la guerra al di fuori del diritto internazionale e dell’Onu.
Se vuole davvero diventare un uomo di pace, deve dimostrarlo nei confronti di Netanyahu e degli estremisti “religiosi” armati che continuano a rubare la terra ai palestinesi. Il mondo non sopporta più la doppia morale che equivale all’immoralità della prepotenza.
E il governo italiano?
Che altro sa fare la nostra Presidente del Consiglio, oltre che parlare continuamente di sè stessa, demonizzare gli avversari e cercare visibilità al seguito di Trump, anche quando questo danneggia l’Italia?
Che fine hanno fatto il carovita superiore all’inflazione ufficiale, il fisco che si mangia parte degli insufficienti aumenti contrattuali, la sanità pubblica meno finanziata d’Europa in relazione al Pil (siamo scesi al 6,1%) e il salario minimo, che non è più neppure adeguato a 9,50 euro l’ora?
I prezzi aumentano, il costo della vita cresce, il potere d’acquisto scende.
Il salario minimo viene ancora scandalosamente osteggiato, con argomenti ridicoli da supposti esperti, e purtroppo anche da “sindacati” che fiancheggiano il governo.
Da chi e da cosa devono essere autonome le organizzazioni sindacali degne di questo nome, se non dal potere economico e politico, che spesso sono alleati?
Com’è possibile sostenere – come ha fatto Fumarola, Segretaria Generale della CISL – che “la manovra del governo è il primo tassello di un grande accordo della responsabilità” con alle spalle un triennio di chiaro peggioramento del potere d’acquisto e della qualità della vita di lavoratori, pensionati e cittadini?
Esiste un reale contrasto allo sfruttamento? Perfino le grandi imprese (e quelle del lusso in modo particolare) lo praticano attraverso le aziende appaltatrici.
Al Signor Diego Della Valle viene permesso di fare la vittima nei principali canali televisivi nazionali e di mettere in discussione l’operato della Procura di Milano, che ha chiesto il commissariamento della sua Tod’s, per “pesante sfruttamento” nella filiera che ad essa fa capo. Le sue frasi sconnesse dal contesto reale non significano nulla.
In quale canale televisivo possono parlare i lavoratori sfruttati?
Basta, basta, basta. Lo sfruttamento nelle filiere produttive di cui sono capofila numerose grandi imprese nazionali e multinazionali è stato certificato più volte ed è direttamente connesso alla volontà di realizzare profitti aggiuntivi che dovrebbero andare ai lavoratori. È insopportabile, altro che storie.
Oggi la tecnologia permette di fare controlli “immediati ” se solo si volesse.
Le grandi imprese mentono quando affermano di non sapere.
Non esiste alibi migliore di questa meschineria.
Pubblicità, comunicazione e “diplomazia istituzionale”, sono le armi per costruirsi una bella immagine di facciata che non corrisponde alla realtà.
Ora tocca alla Tod’s dei fratelli Della Valle, l’elenco di grandi imprese coinvolte in questo losco sistema continua ad allungarsi, ma sarebbe sbagliato generalizzare.
Esistono esempi virtuosi che dovrebbero fare scuola. Con questo spirito va riconosciuto il lavoro del Gruppo Hera, che assieme alle Organizzazioni sindacali ha strutturato un nuovo Protocollo Appalti, rafforzando quello preesistente: “più tutele, più controlli, più partecipazione”. Con “Clausole sociali rafforzate e regole stringenti sui contratti collettivi da applicare per contrastare dumping salariale e precarietà”.
Le parole pesano. Quando si trasformano in accordi e cultura della responsabilità condivisa, diventano valore aggiunto: coesione sociale all’interno dell’impresa capofila e dell’intera filiera coinvolta.
Questo dovrebbero fare tutte le grandi imprese, anziché nascondersi dietro scuse pietose. Certo, anche le organizzazioni sindacali devono fare la loro parte, e non sempre ci riescono, per svariate ragioni.
L’Italia potrebbe essere un Paese migliore con riforme e misure che non costano, ma rendono.
Potrebbe esserlo se imprese, imprenditori e manager si assumessero la responsabilità di rispettare lavoratrici e lavoratori, anche attraverso una distribuzione più equilibrata della ricchezza tra profitti, stipendi e compensi dirigenziali.
Si fanno tanti giri di parole, ma la verità è semplice: la sostenibilità sociale è impossibile senza una più equa distribuzione della ricchezza prodotta.
Intanto, godiamoci il cessate il fuoco a Gaza e il suo immenso valore umano, prima ancora che politico.
È una luce nel buio terrificante delle guerre e dei luoghi in cui, al posto della pace, domina un’oppressione annientatrice.
Spendiamoci, partecipiamo, facciamo quanto è nelle nostre possibilità, negli spazi e nei contesti in cui operiamo.
Il mondo sarebbe un posto peggiore senza il nostro contributo — piccolo o grande che sia.
G.G.

Giovanni Gazzo
Author: Giovanni Gazzo

Giovanni Gazzo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *