L’Italia degli squilibri e dei privilegi
Chi non sa fare i conti con i ricchi, maltratta i poveri e colpisce il ceto medio.
È la via breve per garantire profitti e compensi sproporzionati, e anche immeritati, se al termine “merito” non si dà un significato amorale, come spesso capita.
Questa è l’Italia degli squilibri e dei privilegi, che in economia e nel lavoro si copre dietro la versione peggiore del mercato. Quella refrattaria alle regole e alla trasparenza, che preferisce lasciar fare e “non disturbare chi produce”.
La stessa “mentalità” dalla quale scaturisce “l’economia senz’anima” di cui ha parlato Papa Leone XIV il 16 ottobre alla Fao, in occasione della Giornata dell’alimentazione, invitando a “liberarsi dall’apatia che giustifica la fame come una musica di sottofondo a cui siamo abituati”.
Fame, malessere e inquietudine coinvolgono anche “Paesi ricchi” come il nostro, dove “tante persone e famiglie “vivono” in povertà assoluta e relativa.
Un ossimoro storico che non trova ancora risposta, nonostante la mitica “intelligenza artificiale”
Milioni di persone in quotidiana sofferenza materiale e non solo.
E c’è chi continua a banalizzare la produttività, come se la si potesse ottimizzare impoverendo gli stipendi reali dei lavoratori, che costituiscono la fonte principale dei consumi e dell’economia.
Adesso siamo di fronte a una Legge di Bilancio – 2026 – che non rende giustizia ai lavoratori attraverso una più equa distribuzione della ricchezza e delle imposte, senza la quale si gira attorno ai problemi di fondo senza affrontarli realmente.
Ai lavoratori dipendenti pubblici e privati sono stati “sottratti” 25/26 miliardi in più di tasse nel triennio 2022-2024, dal datore di lavoro collettivo che si chiama governo.
Una autentica ingiustizia realizzata attraverso il subdolo Fiscal drag, che non rispetta il lavoro, come sostiene l’economista Tito Boeri su la Repubblica del 16 ottobre 2025.
Certo che la stabilità politica e finanziaria è importante, ma deve corrispondere a sviluppo economico e coesione sociale, altrimenti diventa una trappola senza vie d’uscita. Condizione disperante nella quale oggi si trovano tante/i “connazionali”. Persone, non numeri
Se mettiamo la testa nell’ultimo Report Istat sulla povertà, assoluta e relativa, ci rendiamo conto di vivere in un Paese ricco che convive con una realtà di diffuso malessere, di cui è principalmente responsabile chi non sa e non vuole orientare diversamente gli investimenti.
Perfino Draghi ebbe a dire che c’è debito buono e debito cattivo. Oggi si punta a soddisfare il riarmo richiesto da Trump e tenere a posto i conti per acquietare i mercati finanziari. Il “resto” viene dopo. I risultati si vedono.
Una sconfortante disoccupazione giovanile e di genere, milioni di stipendi che non permettono di vivere dignitosamente, assenza di sviluppo e investimenti mirati. Questa stabilità è sinonimo di conservazione, assuefazione ai privilegi e alle rendite di posizione.
Anche la povertà è terribilmente stabile, con tendenza al rialzo: 8,7 milioni di persone, di cui 5,7 milioni poveri assoluti, tra i quali 1,3 di bambini. Un’offesa all’umanità. La prova evidente che non si è fatto e non si sta facendo nulla d’importante per combatterla.
Profitti e stipendi sproporzionati, di manager e dirigenti apicali, sono la causa diretta di molto lavoro povero e scompensi sociali.
E anche di una sottostante economia illegale che in Italia è cresciuta ulteriormente negli ultimi tre anni, per effetto del lasciar fare e del “non disturbare chi produce”.
A qualcuno dovrebbero fischiare le orecchie, ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire…
Servono proposte alternative, sia a livello politico che sindacale, sulla scia di quanto detto con solenne severità dal Presidente Mattarella in relazione alle “contraddizioni del nostro mercato del lavoro”.
“Il maggior volume delle risorse viene dalle tasse dei dipendenti e dei pensionati” È inammissibile che vi siano “super manager con retribuzioni centinaia e a volte migliaia di volte superiori a quelle dei dipendenti delle imprese”.
Vergognoso parlare di merito e adottare logiche da calcio mercato, nel lavoro, in economia e nella finanza, incompatibili con la responsabilità sociale d’impresa.
Come è stato possibile un imbarbarimento del genere, per di più fatto passare come merito e bravura?
Adesso siamo di fronte a una Legge di Bilancio conservativa che galleggia sui problemi ma non li affronta con la necessaria determinazione.
Frutto di sconfortante mercanteggiamento tra i partiti di governo che pensano a tutto tranne che al bene comune.
Con il solito balletto nei confronti delle banche assicurazioni piuttosto umiliante per chi rappresenta la cosa pubblica.
Che futuro può avere un Paese che non riesce tassare adeguatamente ricchezze e profitti ma si limita a tartassare il lavoro e i lavoratori?
La memoria ci aiuta a sperare e credere, assieme al grande Eduardo De Filippo: “Adda passa’ a nuttata”. Ma non possiamo limitarci ad aspettare la buona sorte. Pazienza, resistenza, idee e ideali incrollabili.
Lessico adeguato. Informazione. Educazione e formazione. Chi può deve partecipare e contribuire con la consapevolezza che il futuro si realizza solo e sempre nel presente che si lascia ispirare e guidare dalla parte migliore della nostra storia.
Quella che ci ha donato la Costituzione, la quale, per dirla con il padre costituente, Piero Calamandrei, “vive se la facciamo vivere”.
G.G.

Giovanni Gazzo
Author: Giovanni Gazzo

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