Una Legge di bilancio scritta da mani e teste che non credono nel futuro.
Che confondono gli interessi di parte con quello nazionale, economico e sociale. Le baruffe interne alla maggioranza di governo lo dimostrano ogni giorno: il linguaggio e lo stile non sono solo forma, ma sostanza politica.
Nella Legge di bilancio 2026 non s’intravede un’Italia migliore. Non si vede un progetto di sviluppo sostenibile, nè lavoro dignitoso per le ragazze e i ragazzi che studiano, si formano, e poi restano ai margini di un mercato del lavoro che non li valorizza.
Cadono le braccia nel sentire dichiarazioni contraddittorie da parte di esponenti di governo intenti piú a contivare clientele politiche che l’interesse generale.
Quando il ministro Tajani afferma che: “le banche non sono mucche da mungere”, ma tace sui lavoratori colpiti da un fiscal drag che vale 25/26 miliardi chiarisce da che parte provengono gli squilibri.
In questa manovra finanziaria prevale la doppia faccia di un ministro dell’economia che, attraverso una ulteriore rottamazione delle cartelle esattoriali, “sottrae” alla collettività altri 790 milioni di euro.
Costo certificato dalla Ragioneria Generale dello Stato, nella relazione tecnica al Disegno di legge di bilancio 2026.
I condoni mascherati sono diventati una specialità di governo, praticata con orgoglio incivile, a scapito della spesa sociale e degli investimenti.
Eppure il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che fa parte del Recovery Fund europeo, includeva la lotta all’evasione fiscale tra le riforme e gli investimenti. Un tradimento bell’e buono.
Evasione, frodi e condoni sistematici fanno parte della riluttanza al cambiamento. Una palla al piede che frena lo sviluppo e compromette il futuro.
Anziché incidere sulle cause dell’illegalità e dello sfruttamento, li si tollera e perfino favorisce, come dimostra ancora una volta l’approvazione in Senato del DDL PMI che nella filiera degli appalti del made in Italy prevede la deresponsabilizzazione dell’azienda committente.
Una scelta in aperta controtendenza con la necessitá di tutelare salute, sicurezza e diritti dei lavoratori, e del faticoso lavoro delle procure della repubblica in prima linea, come quelle di Milano e Torino.
Nella malaugurata ipotesi di approvazione definitiva in seconda lettura, disapprovata anche da questo articolo del quotidiano Avvenire, l’azienda committente può liberarsi da ogni responsabilità, venendo meno allo scopo di cui è impregnato il D.Lgs 81/2008.
Con la solita ipocrisia del mettere le carte a posto, in questo caso con una fasulla “certificazione di legalità”.
Il marcio evidente nella filiera della moda, come nella logistica, in agricoltura, nell’edilizia e nelle filiere produttive delle grandi imprese, non si combatte con la burocrazia e i cavilli formali. Responsabilità e corresponsabilità non sono surrogabili.
Perfino le forze dell’ordine criticano la manovra Finanziaria, anche dal punto di vista della sicurezza.
“Ma tu te lo immagini un poliziotto costretto a un inseguimento a 61 anni? O un vigile del fuoco che spegne un incendio a 62”? Queste sono le considerazioni tra addetti ai lavori che i problemi li vivono in prima persona.
I conti a posto? sono una virtù se coincidono con l’interesse generale che include la coesione sociale.
Se invece ignorano i problemi e le persone, si configurano come ingiustizia sociale di sistema che, al dunque, diviene questione democratica.
È facile dire (Orsini Confindustria) che “l’Italia deve essere un unico treno che va alla stessa velocità”. Bisogna assicurarsi che a bordo ci siano tutte e tutti, con gli stessi diritti e doveri, altrimenti è una frase priva di contenuto reale.
Il mondo del lavoro è stato disarticolato anche per “merito” della sua organizzazione e del mondo imprenditoriale che ha stravolto il concetto di flessibilità organizzativa, facendola diventare tutt’altro, soprattutto a danno dei giovani e delle donne.
Bisogna alzare il tiro e lo sguardo quando sono gioco l’interesse nazionale vero, la libertà e la democrazia, così come sono concepiti dalla nostra Costituzione.
Non lo si fa personalizzando o tenendo i piedi in scarpe diverse, da scegliere di volta in volta secondo interessi e convenienze che nulla hanno a che fare con il nostro interesse nazionale.
Se “l’Unione europea è nel nostro destino” e solo essa può contrastare guerre e dazi, come sostiene il Presidente Mattarella, risulta evidente che contribuire a non farla funzionare attraverso il diritto di veto non è affatto un bene per L’Italia. Come non lo è allearsi con chi ci danneggia.
Democrazia a rischio?Non è un problema tra i tanti che si possa approcciare con leggerezza. Personalmente penso che il rischio esista.
A focalizzarne bene la portata, un po’ a sorpresa e con encomiabile chiarezza, ha contribuito questa lettera di Marina Berlusconi al Corriere della Sera. Vedremo se ci saranno sviluppi coerenti e conseguenti.
Al momento ha colmato il silenzio e il balbettio deplorevole di tanti politici e imprenditori.
Certo, proprio perché la democrazia non è un pensiero unico e può generare formule ed esiti diversi, bisogna stare attenti a non proferire giudizi lapidari che la contraddicano. A partire dalla natura conflittuale del potere.
Destra e sinistra, conservatori e progressisti, sono consustanziali alla sua esistenza, ma basta una sola parte a metterla in crisi.
Proprio per questo si può e si deve affermare senza tema di smentita che chi vince le elezioni è autorizzato a governare nel rispetto delle sue regole e non a comandare.
Non è forse evidente che da oltreoceano giungano minacce e problemi che fanno male all’economia italiana e minacciano la democrazia?
Se la Presidente di Fininvest Marina Berlusconi ha sentito il bisogno di scrivere che “Le Big Tech sono fatte da gente che se ne frega” e che “libertà e democrazia sono a rischio”, forse è il caso di rifletterci meglio e prendere sul serio l’esistenza di questo problema.
Lei dice che “questi colossi non sono più aziende private, sono attori politici. Con una differenza sostanziale: i padroni della Silicon Valley restano sempre al loro posto. Grazie a una buona dose di ipocrisia , sono passati dal wokismo al trumpismo con la disinvoltura di un cambio di Felpa”.
A nessuno fischiano le orecchie? Diffile e pericoloso non prenderla sul serio, magari per partito preso. Con la democrazia non si scherza.
G.G.
