Un Sindacato serio deve saper “disturbare il manovratore”. Con misura e intelligenza. Al solo scopo di migliorare la vita dei lavoratori, in azienda e “fuori”, in primo luogo attraverso una retribuzione che permetta di vivere dignitosamente.
Ai lavoratori non servono sindacati accomodanti con il potere politico ed economico. Che si accontentano di poco e perfino di peggiorare le condizioni economiche delle persone e delle famiglie risultanti dal recupero tardivo e parziale dell’inflazione e da servizi che devono pagare due volte perché quelli pubblici non funzionano bene.
Non è di questo sindacalismo remissivo che ha bisogno un Paese afflitto da squilibri strutturali che causano tanta povertà.
Lo sciopero generale è sacrosanto, anzi bisogna dire chiaramente che richiede un seguito, per nulla scontato.
Esso dipende dalla volontà e capacità di ri-costruirlo nel Paese e nei luoghi di lavoro con spirito autenticamente costruttivo nei confronti dei lavoratori e dei giovani che chiedono di entrare a pieno titolo nel mondo del lavoro.
Troppe imprese non riconoscono ai loro dipendenti retribuzioni e condizioni lavorative migliori non perché non possono, ma per mera convenienza, con l’aiuto di governi che le assecondano. Un sindacato che dà fastidio è “conditio sine qua non”per realizzare i cambiamenti di cui il Paese ha bisogno, a cominciare dalla rivalutazione sociale del lavoro, che trascende la pur basilare dimensione economica, da tutti riconosciuta.
Dare fastidio a questo fine è esercizio di responsabilità e lealtà di rappresentanza al massimo livello nel momento in cui si verifica che i cosiddetti tavoli di confronto producono solo chiacchiere e comunicazioni tardive di decisioni già prese.
Sciopero è una parola carica di storia travagliata, ed anche di epico eroismo di generazioni di militanti e sindacalisti che hanno contribuito in misura determinante a generare progresso sociale e democrazia che oggi siamo chiamati a difendere e sviluppare. Ed è bene ricordare che scaturisce da una cultura costituzionale che lo considera un diritto a tutela della parte oggettivamente più debole. Solo le dittature lo vietano, solo i regimi lo demonizzano.
A chi non piacerebbe risolvere con equilibrio i problemi senza bisogno di scioperare? Se la realtà è lontana da questa ideale condizione, la responsabilità è di chi ha il pallino in mano, non certo dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali che li rappresentano. Il conflitto è inevitabile in un contesto in cui si promuove la concorrenza al ribasso in nome di una competitività socialmente tossica che il governo si rifiuta di contrastare e di fatto incoraggia. E lo fa con il sostegno di sindacati accomodanti e sindacalisti de-formati che firmano qualsiasi cosa, pur di “accreditarsi” come interlocutori “privilegiati” delle loro controparti.
Non si può andare avanti così. Il lavoro è stato depauperato sia dal punto di vista retributivo che sociale, ancor più marcatamente nel terziario e nei servizi dove lo stravolgimento della flessibilità è diventato un’arma di ricatto di sistema, soprattutto nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori part time involontari e/o con contratto di lavoro a tempo determinato non per “necessità organizzative” ma per volontà di gestire il personale con questa cinica modalità.
Si usa dire, giustamente, che bisogna misurare le parole, ma quella giusta per definire questo diffuso comportamento, favorito da norme su misura che le imprese chiedono e ottengono dal governo, è vergogna.
Oggi è ancor più è necessario “disturbare il manovratore” alla luce di una Legge di bilancio destinata ad aumentare il malessere delle persone e delle famiglie, senza modifiche sostanziali.
I “sindacati” che nel pubblico impiego firmano accordi senza nemmeno consultare i lavoratori, dimostrano nei fatti di essere subalterni al governo. In democrazia si vota se non si è d’accordo. Sbarra dovrebbe rifiutarsi di partecipare a queste manovre politiche. Altro che autonomia sindacale. Si lotta permigliorare la vita delle persone, non per fare un favore all’opposizione, come insinua chi non ha argomenti e con troppa facilità ipotizza fantasiose derive ideologiche.
I punti che dividono CGIL e UIL dal governo Meloni riguardano il carovita, la salute e la sicurezza, i diritti dei cittadini, compreso quello di protestare nel rispetto e per il rispetto di una Costituzione che, fino a prova contraria, non prevede ingiustizia fiscale selettiva e diseguaglianze di sistema.
Lo sciopero generale del 29 novembre si giustifica ampiamente, sia per l’atteggiamento autoritario del governo, che include la politica economica e sociale costantemente sbilanciata sulle imprese; sia per la reiterata volontà di adottare due pesi e due misure a danno dei lavoratori e dei pensionati, ai quali si sottraggono ulteriori risorse attraverso il fiscal drag da inflazione, proprio a favore di quanti li danneggiano con l’infedeltà fiscale che il governo protegge e legalizza.
Non so quanto sia opportuna l’espressione “rivolta sociale”, certo è che ribellarsi all’ingiustizia fiscale è semplicemente doveroso e richiede decisioni conseguenti. Chi non si ribella deve giustificarsi, non chi proclama partecipa e si impegna per dare seguito allo sciopero generale. Non esiste democrazia senza conflitto e conseguente volontà di superarlo in avanti, Costituzione alla mano. Le divisioni fanno male ai lavoratori. La cosa peggiore che possa capitare è spaccarli d’ufficio dall’alto. Lo scopo del Sindacato è fare accordi e stipulare contratti con le sue naturali controparti, e possibilmente anche concertazione con i governi, non condividere misure, decisioni, orientamenti e misure a saldo negativo. Il seguito dello sciopero generale del 29 novembre a mio parere dipenderà dalla capacità di risvegliare le coscienze, rilanciare la partecipazione consapevole e generare nuova militanza. Volare alto e stare con i piedi per terra possono e devono andare di pari passo. Il vero volare alto ha senso solo per ascoltare e aiutare meglio le persone reali che il Sindacato rappresenta, a partire da quelle più umili e modeste di cui bisogna essere degni rappresentanti anche quando la vita ci mette di fronte a contraddizioni non facilmente risolvibili. Volare alto non dev’essere mai distacco dalla realtà ma migliore comprensione della stessa in un mondo che cambia e richiede più intelligenza umana applicata al lavoro che “intelligenza artificiale” al servizio del profitto che lo svalorizza. Sindacato, sciopero, partecipazione, democrazia, formazione: parole chiave da rivalutare per ripartire con rinnovata fiducia dalla nostra Costituzione e dalla sua “illuminante” progettualità.
G.G.

Giovanni Gazzo
Author: Giovanni Gazzo

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